Viaggio a Panama, ecco cosa fare

Mercoledì 26 Ottobre 2016 di Sabrina Quartieri
Panama City

Purché sia felice, a Panama una persona può fare tutto ciò che desidera. E’ questa la prima cosa che si impara approdando nel Paese del Canale che unisce due mondi: abitualmente, dopo il lavoro, si va a bere, ad incontrare nuove persone, a ballare; ancora, ci si diverte al casinò o nei tanti locali di calle Uruguay della capitale. Ma quello che lascia più stupito il turista da quelle parti, non è tanto la frenesia di una località vivace e votata agli eccessi.

 

Magnetica e unica al mondo, Panama City è prima di tutto comoda e accessibile. Ogni cosa funziona H24 infatti, dai ristoranti ai supermercati, dai taxi alle palestre. Luogo di contrasti, affascinante e piacevole, questa città svela le sue tante anime a poco a poco. A partire dal sapore coloniale di Casco Antiguo, suo quartiere gioiello, per passare all’elegante skyline della zona delle banche (oltre 430 istituti di credito presenti) e finire con le zone più malfamate, da San Miguelito al più centrale El Chorrillo, proibite agli stranieri.

Così, quella che per cento anni è stata la casa dei tanti americani impegnati nella costruzione del mastodontico Canale, la cosiddetta ‘Ruta del mundo’, oggi è sempre più il simbolo e lo specchio di una nazione caratterizzata da una parte da aree disagiate attraversate da traffici illeciti (a sud Panama confina con la Colombia) e, dall’altra, da incantevoli paesaggi tra riserve indios, isole incontaminate e la verdissima selva tropicale. Multiculturale (12% bianchi, 18% indigeni e 70% mulatti) e ricco di biodiversità, questo stato è tra i pochi Paesi al mondo in cui, nello stesso giorno, si può fare il bagno sia nel Pacifico che nel Mar dei Caraibi: le due coste infatti distano solo 80 chilometri l’una dall’altra. Ecco allora un itinerario che tocca la capitale, le chiuse del canale, l’arcipelago di Bocas del Toro e la riserva indios degli Embera.
 
1. Panama City: tappa al Museo della Biodiversità di Frank Gehry. Sette chilometri di strada per unire quattro isole della baia della capitale panamense: Naos, Punta Culebra, Perico e Flamenco comunicano tra loro grazie a un ripieno artificiale fatto con le pietre degli scavi del Canale. Siamo sulla Causeway, un percorso che permette di ammirare all’orizzonte le navi dei pescatori e quelle in attesa di attraversare le chiuse. Attraccata in uno dei moli, c’è persino la barca che fu di Al Capone, l‘Isla Morada’, usata per trasportare il rum da Cuba a Miami ai tempi del Proibizionismo. Ma la vera attrazione della zona è una coloratissima struttura alle porte di questa strada in mezzo all’oceano: il Museo della Biodiversità. Aperto il 2 ottobre 2014 ad Amador e realizzato dal celebre architetto canadese Frank Gehry, questo luogo racconta la storia della formazione dell’istmo di Panama, risalente a circa tre milioni di anni fa. Ma soprattutto ripercorre le fasi della grande migrazione lungo il Paese che ha interessato moltissime specie animali. Dopo un immancabile viaggio attraverso gli ecosistemi, grazie ad un video proiettato sugli schermi di un cubo gigante, si passa alle varie stanze del museo, decorate con tinte differenti a seconda delle epoche che vengono narrate. Se il giallo rappresenta il periodo della conquista dell’oro, il rosso è il simbolo del progresso e della rivoluzione. Ancora, se il verde si riferisce alla selva di Panama, il blu ricorda il colore del suo mare. A rendere tutto più suggestivo, il contributo del famoso jazzista Danilo Perez, che ha composto diverse musiche, in base al percorso espositivo. A rendere ancora più speciale questo luogo è il suo collegamento con il famoso Centro di ricerca di Washington ‘Smithsonian Institution’, che ha una sua rappresentanza proprio nella vicina isola di Naos. Perché il vero tempio della biodiversità è fuori dalle mura del Biomuseo. Per capirlo, basta fare un tour guidato a Barro Colorado, un’isola del Lago Gatún considerata un vero santuario per chi studia la natura. Intanto, i lavori al gioiellino di Amador non si fermano: nel 2018 infatti verrà terminata la seconda parte dell'esibizione permanente, che ospiterà un grande acquario.
 
2. Casco Antiguo: a spasso nel quartiere storico di Panama City. La prima volta fu distrutto da un incendio e saccheggiato dal pirata inglese Henry Morgan. La seconda, nel 1673, dopo appena due anni dalla devastazione, venne ricostruito su una massa di coralli, con vicoli stretti in pietra e case coloratissime che ricordano le Antille: San Felipe, meglio noto come Casco Antiguo, è il quartiere storico di Panama City, un dedalo di affascinanti stradine dove si affacciano edifici dai diversi stili architettonici, che ricordano un po’ la Spagna, la Francia e, ovviamente, gli Stati Uniti d’America. Il tour ideale per appassionati di storie e leggende comincia da piazza Herrera, considerata il confine naturale con un posto da cui è meglio tenersi alla larga: El Chorrillo. Ma torniamo alla piazza. E’ su di lei che si affaccia l’hotel ‘American trade’, un elegante edifico dal passato affascinante e stupefacente. In principio residenza degli operai del Canale, prima di diventare un delizioso albergo dallo stile coloniale nel 2013, la struttura fu occupata per diverso tempo da alcune bande criminali. E proprio di questo passato ancora oggi si conserva memoria. Lontana dagli occhi indiscreti, una stanza mostra ancora i murales con gli slogan realizzati durante quella fase di vita ‘buia’ del palazzo. Spalle all’hotel, il giro continua a sinistra (e mai a destra) per raggiungere la chiesa di San José e ammirare il suo prezioso altare d’oro, simbolo raro della contaminazione tra il Barocco e l’arte centroamericana. Tra gli elementi decorativi, infatti, non mancano piante di mais e diversi fiori tipici dei Paesi del Caribe. Un’opera ammirata dai tantissimi visitatori che provengono da ogni parte del mondo e a cui è legata una leggenda: si narra che ai tempi del saccheggio della città, fu il prete Martin Sousa a salvare l’altare ricoprendolo di fango. Proseguendo il tour, si arriva all’ex convento della Compagnia del Gesù, chiuso definitivamente nel 1860 e, subito dopo, al complesso di San Domenico, per osservare un magnifico esempio di arco ‘chato’ (piatto) perfettamente conservato. Questa struttura realizzata con coralli, conchiglie, paglia, escrementi d’animale e pietre, regge ancora oggi. Anche a lei è legato un aneddoto: si racconta che sia stata proprio la presenza di questo arco a far capire agli americani che doveva essere Panama il luogo giusto dove costruire il canale, e non il Nicaragua. Soprattutto dopo che questo Paese emise un francobollo con il disegno di un vulcano come uno dei suoi simboli nazionali.
 
3. Da selva a strada del mare: lungo le chiuse del Canale di Panama. Un Paese piccolo con sogni da gigante: mantenere il collegamento interoceanico per tutti gli abitanti del mondo. Titanica e colossale, il Canale di Panama, detta anche ‘la ruta che brilla’, è l’attrazione più esalante di Panama. Tra le varie escursioni da fare in giornata, si può scegliere il centro visite di Agua Clara, sull’Atlantico, e ammirare le mastodontiche navi che affrontano le chiuse nuove inaugurate il 26 giugno 2016, oppure andare a Miraflores sul Pacifico, il punto d’osservazione del vecchio passaggio, aperto il 15 agosto 1914 e ancora in uso. I numeri hanno dell’incredibile: se qui passano le navi che riescono a trasportare fino a 5mila container, nella parte nuova si fanno attraversare quelle che hanno una capacità almeno doppia. La sensazione che si prova quando si arriva dinanzi a questi giganti gradini d'acqua che vanno su e giù per alzare e scendere le imbarcazioni, è forte. L’esperienza si riempie di valore, visitando il piccolo museo di Miraflores. Qui si racconta la storia del Canale, da quando fu ideato per la prima volta dal francese Ferdinand de Lesseps (che aveva costruito quello di Suez), fino alla sua definitiva realizzazione, grazie all’intuito e al genio dell'ingegnere americano John Frank Stevens. E sempre al museo si ripercorrono i quasi cento anni, dal 1904 al 31 dicembre 1999, di permanenza a Panama degli statunitensi, rimasti nel Paese per proteggere e presidiare ciò che costruirono, bonificando la zona dalla malaria e dalla febbre gialla, sfidando la cordigliera dura e la selva più impervia a colpi di dinamite (oggi la proprietà è dell’Autorità del Canale di Panama). Infine, si dà testimonianza dei braccianti che realizzarono quest’opera grandiosa: gente che veniva da Martinica, Guadalupe, Trinidad e Giamaica. Insieme a lei, c’erano spagnoli, greci, indios, americani, cubani, costaricensi, colombiani, panamensi e persino italiani. Persone che arrivavano da molte parti del mondo e parlavano differenti idiomi, ma che in quegli anni fecero in modo di capirsi e di dare vita a qualcosa di straordinario.
 
4. A Bocas del Toro per un’indimenticabile escursione in mare. Dall'aereo sembrano un paio di scarpe di un gigante nel mezzo del Mar dei Caraibi: Cayo Zapatilla 1 e 2 sono atolli disabitati e circondati da un’acqua trasparente popolata da razze, squali gattuccio e delfini. Poi c'è l'isola di Bastimentos, così chiamata perché Cristoforo Colombo vi trovò una grande quantità di cibo; infine, ecco Carenero, dove l'esploratore attraccò una delle sue navi, e da lì il nome. Tutto questo è solo una piccola parte dell'arcipelago di Bocas del Toro (9 isole abitate e quasi 300 atolli tra mangrovie di colore bianco, rosso e nero), una meta che vale almeno un paio di giorni di viaggio, per provare le diverse escursioni in barca. Eppure, senza nulla togliere a bagni e snorkeling, la tappa davvero imperdibile è senza dubbio il ristorantino di Don Alfonso, una palafitta che prepara cibo in mezzo al mare di Cayo Coral aperta ben 18 anni fa e a tutt'oggi famosa per le sue freschissime aragoste. Il soggiorno a Bocas comincia con il check-in al Gran hotel Bahia, una particolare struttura dei primi del Novecento. A riempire di fascino questo posto che conta 18 stanze semplici e pulite, è il suo passato: l’albergo inizialmente era l’unico della città e nel 1969 riuscì persino a scampare alla furia di un terribile tornado. In principio la casa apparteneva ai proprietari della compagnia americana di esportazione di banane ‘Chiriqui Lan company’. Sistemata la stanza e lasciati i bagagli, ci si dirige all’imbarcadero per una fantastica escursione a Cayo Coral, con due punti di snorkeling e la sosta al ristorante di Don Alfonso. Poi si raggiungono le paradisiache isole Zapatilla 1 e 2 per godersi un altro po’ di mare in un contesto unico, ovvero quello di una incredibile riserva naturale. Qui si nuota tra coralli e pesci colorati. Ma la cosa più straordinaria è che all’interno del parco è possibile campeggiare e trascorrere una notte, pagando circa 20 euro (compresi i 10 per l’accesso all’area). Il giorno dopo una barca arriverà sulla spiaggia per riportare indietro i romantici esploratori.
 
5. Un giorno al villaggio della comunità indios Embera Quera. “Tocca la sua acqua, così ti potrà riconoscere e proteggere”. Un antico proverbio indios guida il visitatore nel viaggio sul fiume fino al villaggio degli Embera Quera, una simpatica e interessante tribù di indios ‘2.0’. La comunità, che si compone di 16 famiglie, 9 anni fa ha lasciato il Darien, vicino alla Colombia, per rifarsi una nuova vita, lontano da una zona difficile per via della guerriglia. Il gruppo, avvicinandosi a dei centri urbanizzati, ha scelto la modernità, l'istruzione e la salute, pur senza rinunciare alla sostenibilità ambientale e al culto delle tradizioni. Il villaggio si trova ai margini del Lago Gatún, su un territorio di otto ettari di proprietà degli indios. E’ il capo della tribù ad accogliere i visitatori raccontando gli usi e i costumi di questa piccola grande famiglia, che potrebbe cacciare ma preferisce comprare cibo, per preservare l’ecosistema. La scelta di aprirsi al turismo è stata dettata dall’esigenza di trovare una forma di sopravvivenza. Così, diversi gruppi di stranieri possono trascorrere la giornata in compagnia di questi insoliti indios, capire come vivono e vedere in che modo passano le ore. Durante il tour, inoltre, che costa circa 75 euro a persona, si visita la piccola scuola primaria e secondaria del villaggio, una capanna che accoglie sette bambini gestiti da una maestra che tutti i giorni, a bordo di una piroga, raggiunge il villaggio. Infine, prima di ripartire, si può dare un ulteriore contributo agli Embera facendo shopping al loro mercatino. Sui banchi si trovano diversi articoli d’artigianato d’altissima qualità, come le sculture di legno, le collane di perline o i piatti disegnati. In pratica, utensili fatti con le palme della foresta e con le radici. Solo un po’ cari forse, ma decisamente perfetti, grazie alla maestria di quelle che vengono considerate le più brave lavoratrici di panieri fatti a mano (Pagina Facebook: https://www.facebook.com/EmberaQueraCulture/?fref=ts; per maggiori informazioni sul Paese: www.visitcentroamerica.com).
 

Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 08:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci