Tra le onde delle colline: alla scoperta delle Langhe

Venerdì 24 Maggio 2019 di Cristina Rava
Tra le onde delle colline: alla scoperta delle Langhe

Un bastione di montagne irsute di castagni inselvatichiti e faggi separa la Liguria dal Piemonte. Per superarlo si può correre in autostrada o preferire le strade tortuose che raccontano traversate epiche, ripetute soste, tavolini da campeggio e spuntini Anni Sessanta. Strade che ti permettono di notare che qualcosa cambia. Valicato il colle di San Bernardino, per esempio, le pendenze si ammorbidiscono, gli odori si fanno più intensi, perfino il colore del cielo è differente. La statale del Colle di Nava che congiunge il Ponente con Ceva, corre lungo Tanaro e affianca una tratta ferroviaria in malinconico disarmo. Eppure era una vena dove scorreva il sangue dell'economia della vallata: la cartiera, l'acqua minerale, la fabbrica farmaceutica, ragazzini che andavano a scuola, operai al lavoro, donne al mercato. Forse la restituiranno ad una vita temporanea, per divertire i rari turisti durante l'estate.

LE SFUMATURE
La primavera riempie gli occhi d'infinite sfumature di verde: quello del mais appena nato, quello di faggi e betulle, dei noccioli e dei meli, il colore grasso della terra che cova patate e fagioli. Manciate di case, qualche distributore di benzina, l'insegna di una farmacia o un'officina ingombra di macchine agricole, sono indubbi segnali di vita. Ogni frazione mostra la sua bottega lungo la strada, per attirare gli automobilisti di passaggio, perlopiù torinesi transumanti verso le spiagge, con promesse di pane casereccio, liquori d'erbe e formaggi d'alpeggio. Le Alpi incombono sul fondovalle, lo riempiono di refoli freddi e ombre precoci. Alzando lo sguardo, nel folto dei boschi si distinguono monconi di mura medioevali, testimoni di piccoli, crudeli fasti di periferia.

Garessio, Priola, Pievetta, Bagnasco, Nucetto, sono preludi della città: Ceva. Amo il suo centro storico, i portici pieni d'ombra ma illuminati dai negozi, la banca locale, l'ospedale, il teatro e quel sapore d'antan sabaudo.

Ceva vive nel mezzo di una scodella verde, intorno stanno piccoli paesi, come punte di una corona. Mombasiglio che porta un nome importante: Monte del Re! Un castello, un borgo, campagne coltivate e pioppeti, inaspettata una deliziosa biblioteca. Sale Langhe e Sale San Giovanni, un tempo unico comune, che con la separazione forse hanno raggiunto la felicità. Le case di Paroldo, con la sua storia di streghe e stregonerie imbevute di leggenda, se ne stanno posate come uccelli sul ramo, le finestre aperte al sole, alla nebbia, ai pollini e all'odore di letame, a quello sempre più raro del mosto. Sì, perché qui è Alta Langa e le vigne non ci sono più. Sono scomparse e oggi si coltiva altro, grani antichi o erbe officinali, perché quel vino aspro e ruvido non troverebbe estimatori. Andava bene quando sulla tavola stavano soltanto le cose di cascina, prima dei centri commerciali, prima del turismo, prima delle mode.

IL DIADEMA
Da questi vertici del diadema si diparte una ragnatela di strade che, curva dopo curva, in un saliscendi infinito, conduce al cuore delle Langhe. Un universo sconosciuto e misterioso, per me donna meticcia tra Piemonte e Liguria. Quando domino dall'alto di un crinale lo sconfinato mare di colline, soffuso di bruma, subito mi stringe la nostalgia per quell'altro mare, quello d'acqua, solcato dalle navi, pieno di pesci e d'ombra e venti, confine fluido di terre straniere.

Le colline, morbide mammelle generose, mostrano sulla sommità, come fossero capezzoli, piccoli borghi o campanili puntuti. I signori di un tempo hanno lasciato i loro castelli in eredità ai signori di oggi, che li hanno trasformati in raffinati paradisi per buongustai e per amanti del piacere venuti da lontano. Quei dorsi ripidi, quei filari miracolosi su piani inclinati, regolari come lisciati dal pettine di Gargantua, raccontano una geografia perfetta che nasconde la fatica.

Tanta armonia però non m'inganna.

Preservo il ricordo di generazioni sfiancate dal cavar patate, o raccogliere olive nel vento di dicembre, e so che non esiste bellezza senza tenacia e sacrificio. La terra, per quanto ornata dal lusso dei ricchi, resta sempre terra, con le sue regole feroci. Riconosco in quella gente cortese, la paura arcaica delle intemperie, la diffidenza verso il forestiero, accettato nel commercio ma mai fratello. Dietro i sorrisi e le belle maniere piemontesi sopravvive l'inquietudine per il futuro che talvolta disperde fortune e riporta la miseria. La Ferrari in garage aspetta la domenica, ma il fardello gramo della malora rimane sempre attaccato alla schiena.

Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 10:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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