Mattarella, cosa ha detto nel suo discorso il 25 aprile: il dovere della memoria e il richiamo all'unità sull'antifascismo

Il capo dello Stato avverte: «Il 25 Aprile è una ricorrenza fondante della Repubblica»

Giovedì 25 Aprile 2024 di Andrea Bulleri
Sergio Mattarella a Civitella Val di Chiana

Il dovere della memoria, senza la quale «non c'è futuro». E quello di celebrare una giornata, il 25 aprile, in cui «tutti possono riconoscersi». Anzi, intorno a cui l'unità «è doverosa». Non è la prima volta che Sergio Mattarella richiama la politica e la società all'importanza di tener vivo il ricordo della Liberazione dal nazifascismo. Ma le parole che il capo dello Stato pronuncia da Civitella Val di Chiana, teatro della strage di 244 civili tra cui donne e bambini nel giugno 1944, suonano forse più forti che in passato. E si stagliano sopra le polemiche degli ultimi giorni cominciate col caso del monologo di Antonio Scurati.

Il monito

Un monito per ricordare a tutti che la Resistenza, e dunque il 25 aprile, è una ricorrenza «fondante» della Repubblica. «La festa della pace - scandisce il Presidente - della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche.

Quella pace e quella libertà, che - ricorda - hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia», oltre che di «diniego di ogni forma o principio di autoritarismo o di totalitarismo». 

Cita Aldo Moro, Mattarella. Per ricordare che tutti possono - anzi devono - riconoscersi nei valori della lotta al nazifascismo: «Intorno all'antifascismo - le parole dello statista Dc riprese dal capo dello Stato - è possibile e doverosa l'unità popolare, senza compromettere d'altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». 

Chi combatteva il nazifascismo

Del resto, «tra i morti della Resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi», dice ancora Mattarella, citando stavolta il teologo e filosofo padre Davide Maria Turoldo. «Ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e parlavano lingue diverse, e avevano pelle di colore diverso, eppure nella libertà e nella umana dignità si sentivano fratelli». In altre parole, la Resistenza non fu patrimonio solo dei comunisti, ma più in generale di «reduci dalla guerra e giovani appassionati, contadini e intellettuali, monarchici e repubblicani». Che, avverte il capo dello Stato, «si unirono per lottare, con le armi, contro l’oppressore e l’invasore».

«Tra di loro - ricorda ancora Mattarella - uomini, donne, ragazzi, di ogni provenienza, di ogni età». Vi furono pure i «seicentomila militari italiani che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di servire la Repubblica di Salò». E vi fu «la Resistenza della popolazione,ribellatasi spontaneamente di fronte a episodi di brutalità e alle violenze, scrivendo pagine di eroismo splendido di natura civile». E poi «le coraggiose lotte operaie, culminate nei grandi scioperi nelle industrie delle città settentrionali». Un patrimonio, dunque, di tutti. 

La lotta per la Liberazione

Così come per Mattarella non tiene il racconto fatto da più parti nei decenni di una lotta per la Liberazione che si serviva della violenza al pari dei nazifascisti. «A differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza - sottolinea il Presidente - fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia». 

E' anche per questo che per l'inquilino del Quirinale il ricordo è doveroso. «Occorre oggi e in futuro - dice Mattarella -  far memoria di quelle stragi e di quelle vittime, e sono preziose le iniziative nazionali e regionali che la sorreggono». Perché «senza memoria, non c’è futuro».

Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 14:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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