Il carovita aumentato del 14,1% in un biennio, il che significa che in 24 mesi le famiglie del Fvg hanno speso 2.365 euro in più per sopperire alle necessità della vita quotidiana.
I DATI
Il rapporto, però, prudentemente usa il condizionale. Infatti, aggiunge, «rimangono molti dubbi. Nel caso le situazioni di crisi in Medioriente e in Ucraina dovessero precipitare ulteriormente, l’aumento dell’inflazione potrebbe attestarsi ben al di sopra». A trainare i rincari nel biennio 2021-2023 sono state le bollette di luce e gas che, tra balzi e rallentamenti, sono cresciute complessivamente del 66,3 per cento. Seguono il costo degli autocaravan e delle imbarcazioni (+24,4%) e, molto più popolare, il rincaro dei prodotti alimentari (+21,3%) e dei trasporti che hanno fatto registrare un +20,9 per cento. In aumento anche le bevande alcoliche, con un +17,2 per cento. Percentuali che, tradotte in euro, hanno prelevato dal portafoglio di ogni famiglia 197 euro in più al mese, facendo aumentare il conto annuale del 9,9%, cioè da 23.910 a 26.275 euro, pari a una spesa mensile passata da 1.992 a 2.190 euro.
LA MAPPA
«Una stangata che – spiega la Cgia – ha penalizzato soprattutto le famiglie più fragili economicamente. L’aumento generalizzato dei prezzi, infatti, ha provocato una perdita di potere d’acquisto che non ricordavamo da 25 anni. In altre parole – aggiunge -, negli ultimi 24 mesi molti nuclei familiari hanno speso di più e hanno portato a casa un numero di beni e servizi decisamente inferiori. Fanno eccezione, però, alcuni servizi. Dall’analisi dell’Ufficio studi mestrino, infatti, risulta che ha calare nello stesso periodo sono stati gli apparecchi informatici (-6,6%) e quelli telefonici (-12,2), ma anche il costo per l’istruzione universitaria, diminuito del 2,2 per cento. Condizioni che sono state un boomerang anche per le imprese, in particolare per le piccole attività commerciali. «Se in questi ultimi due anni le vendite della grande distribuzione hanno tenuto, tanto che in termini nominali sono cresciute dell’11% - analizza la Cgia -, quelle delle botteghe artigiane e dei negozi di vicinato sono cresciute di poco in termini nominali, cioè solo del 4 per cento. Il risultato – aggiunge – è sotto gli occhi di tutti: nei centri storici, ma anche nelle periferie, il numero delle insegne rimosso e delle vetrine con le saracinesche perennemente abbassate è in costante aumento». Con meno negozi di prossimità diminuiscono, però, anche i luoghi di socializzazione, «rendendo meno vivibili e più insicure le aree urbane che subiscono queste chiusure. A essere penalizzati sono soprattutto gli anziani, perché senza negozio sotto casa e auto per loro fare la spesa diventa un grosso problema», conclude il rapporto.