Gianna Nannini: «La gravidanza a 56 anni mi ha rigenerato, ma non è stata una passeggiata. Non ho l'età che dite voi»

Alla vigilia dei 70 anni un album di inediti e il biopic “Sei nell’anima” su Netflix dal 2 maggio. La cantautrice: «Subisco l’ageismo da sempre ma io sono nata nel 1983. La morte è obbligatoria ma l’età è facoltativa»

Mercoledì 24 Aprile 2024 di Alvaro Moretti
Foto di Leandro Manuel Emede

Ho l'età per subire il fascino di Gianna Nannini: quando 45 anni fa cantava sulla Rai Tv America e usava voce e mani per raccontare come si potesse – da sole – raggiungere la propria America, io ero a guardarla.

In quel disco, ben prima di Californication, la statua della Libertà teneva in mano un vibratore.

Ero adolescente e lei poco più di me: ma si capiva al volo che era un atto rivoluzionario. Le donne nel rock non c'erano da noi: c'era la Nannini. 

Ora la intervisto perché cammina per l'etere e le radio un album di inediti – siamo oltre i 30 pubblicati, con collaborazioni pazzesche – (Sei nel l'anima, scritto così) e il prossimo 2 maggio Netflix porterà nello streaming mondiale il film Sei nell'anima (stavolta scritto così) con la brava Letizia Toni che accompagna la Gianna di fiction verso il 1983. In realtà la intervisto perché nel disco e nel film Nannini ci spiega una cosa che teorizza e vive. «La morte è obbligatoria, ma l'età è facoltativa», lo canta come un inno. Uno dei tanti: Gianna è cantante da inno, leader senza un popolo da sobillare ma che entra facile in battaglia. 

E allora scopro che non ho l'età per ricordarle i suoi 70 anagrafici che arrivano, perché so che mi metterà al posto mio subito. «L'età è facoltativa». E molte cose sono facoltative nella filosofia di Gianna, laureata – appunto – in filosofia. Il disco si apre con una canzone che fa capire. E il film parla della gestazione di 30 anni per arrivare al parto. «Sono nata nel 1983 e sono nata senza genere. Un pancione lungo, difficile. Senza genere perché se uno dice né uomo né donna non vuol dire essere tutte e due. Io sono un essere umano e non ho bisogno di quel conflitto tra generi, di etichette. Quelle creano la discriminazione, aprono ai conflitti, alla guerra cui mi oppongo ovunque e da sempre. Nel 2003 ero in Iraq: con i musicisti manifestavo per fermare le armi».

Questo rapporto con la libertà del suo corpo e col tempo che lei porta come una bandiera è la sua battaglia.
«Sono stata sempre attaccata in modo ignobile per le mie scelte di vita. Oggi si chiama ageismo: beh, io lo subisco da sempre. Canto di essere nata nel 1983 e rivendico una mia libertà. La mia gravidanza a 56 anni, per esempio, non è stata una passeggiata. Quando è arrivata il mio corpo e la mia anima si sono rigenerati. Nel film si capisce bene quanto mi siano costati i percorsi per essere davvero quello che volevo: dire a un uomo che ho amato tantissimo come mio babbo “io fo’ come mi pare” e andare via di casa; accettare, per conoscermi fino in fondo, di toccare la follia assoluta. E lì non furono droghe o chissà cosa, ma un mio percorso quasi sciamanico che lo psichiatra Laing definisce arrivare all'Io diviso. Torno all'età per raccontarle che tante persone della mia età anagrafica, specie donne, si sono affezionate a quella frase sulla morte e sull'età che è facoltativa. L'ageismo sulle donne agisce presto: a 30-40 anni ti scartano sul lavoro. Agli uomini non capita».

Quando si presentò a cantare America in tv con quei riferimenti sessuali così espliciti, ma ancora prima con la canzone “Morta per autoprocurato aborto” a fine ‘70 divenne un simbolo femminista.
«Io al rock ci sono arrivata, cantavo melodie italiane. Ma con canzoni così mi facevano suonare solo nelle feste femministe o di partito».

Nel film questo si capisce bene.
«Non è un biopic, è una storia. La mia fino ai 30 anni ed era necessario per me rivedermi. A voi sembrano molto forti certe scene, eppure la mia sofferenza e il dolore provato sono edulcorati. Quando sperimentavo la follia a Colonia non c'entravano le droghe: non sono mai voluta essere dipendente da niente e nessuno, a partire da mio padre, figurati se mi facevo possedere da una sostanza. Io dovevo andare a fondo su di me. Vivevo lo stress di un successo che arrivava e mi portava ad essere un ingranaggio del mondo della produzione musicale: volevano hit e io vedevo i fantasmi. Dopo l'esplosione, però, nasce la Gianna che sono: intuizione assoluta, istinto, libertà. E a partire da Fotoromanza (1984) scrivevo una hit al giorno».

Che effetto le ha fatto rivedersi in Letizia Toni, l'attrice che interpreta Gianna? 
«Lei è stata strepitosa: mi ha studiato un anno e mezzo. L'avevano già scelta, ma quando l'ho vista dovevo approvarla: e non poteva che essere lei. Anche mia figlia ha detto: è lei. Quell'urlo dentro, quel ciao quando mi perdo nello studio di registrazione: sono io».

Una hit dietro l'altra. E un inno all'anno. Non solo “Un'estate italiana” per i mondiali del '90. “Meravigliosa creatura” canto degli ultrà dopo la morte di Sandri.
«All'inizio la rifiutavo Gianna degli inni: ma sono nata in Fonte Branda, contrada dell'Oca e alla fine se cresci con quel legame di popolo così forte... Alla fine, i miei sono inni a sorpresa e va bene così».

Lei scrisse “I Maschi” nel 1987, nel film esce con forza il rapporto con suo padre (un bravissimo Maurizio Lombardi) e la riconciliazione con lui.
«Le generalizzazioni sono pericolose sempre: oggi si parla troppo di patriarcato, parlare di uomo e donna in questi termini ci allontana. Sono nata senza genere perché io li vedo che cambiano questi maschi. E ci vuole il rispetto per questo percorso».

Nel disco c'è una canzone, “Lento Lontano”, un gospel, musica dell'anima. Tanti anni fa ci fu “Babbino Caro”. Papà Nannini è tanto presente. 
«Quando era malato mi disse: tu sei un genio, Gianna, puoi fare tutto. (Si blocca per l'emozione, mentre lo dice, ndr). Nel film sembra più autoritario e violento. Non era felice che facessi la cantante, nonostante gli anni e due dita lasciate da me nella pasticceria di casa, ma neanche lo era del fatto che mio fratello Alessandro fosse un pilota di Formula 1. Parlare di quella canzone... (Gianna si ferma, scoppia a piangere, ndr). Non ce la fo... Ma è stato bello riconciliarsi e avere un complice perfetto come Alessandro nella mia vita. Al gospel e al soul di questo disco dovevo arrivarci».

È lo spirito di Janis Joplin che s'incarna. Anche lei si “scartavetra” l'anima nel cantare. 
«La mia tesi universitaria s'intitolava “Il corpo nella voce”. Mara Maionchi e Fabi, i miei scopritori, mi dissero che gli ricordavo Janis: l'ho studiata, ho studiato le cantanti-danzatrici della Tammuriata. E ne ho scritto per la tesi e poi fatta diventare un percorso mio: canto col corpo, io che sono discinetica, ma trovo frequenze che non avevo. E l'urlo di dolore quando ho perso le due falangi in pasticceria mi ha tirato fuori qualcosa: è stato duro diplomarmi in pianoforte così. E ci ho messo anni a togliermi l'impronta di quel dolore».

L'Iraq per la pace, s'è arrampicata sull'ambasciata francese contro il nucleare, poi “Una Nessuna Centomila”, l'inno per l'Abruzzo.
«A volte le canzoni non sono sufficienti, serve un gesto politico, serve fare quella cosa: il gesto conta di più. E la rottura serve alla sintesi: serve a farti guadagnare il rispetto. Io rispetto il nero, ma il nero deve rispettare il bianco».

Le manca la Toscana?
«Sì: lì faccio il vino e l'olio. L'unico ritorno possibile per me è quello alla terra».

Mantengo fede all'impegno preso con me stesso e non cito mai i 70 anni anagrafici che arrivano a giugno. Con la fatica come siamo messi, Nannini?
«Io sono nata nel 1983 e se uno non ci crede, peggio per lui. Il mio produttore Conny Plank mi predisse: tu sarai sempre più irruente e non invecchierai. Poi io ci metto il triathlon serio, il pilates profondo che mi riattiva e quella maternità che ha rigirato le mie cellule. Non ho acciacchi, finora».

E che mamma è Gianna?
«Una mamma ganza: anche se Penelope ora si trucca, è adolescente e non vuole più i miei “mamma day” giorni in cui organizzavo di tutto per lei. Deve essere libera di andare da sé. Io me lo sono sudato, lo spazio vitale».

E il film su Gianna prima della nascita nel 1983, lo vedrà Penelope?
«Non lo so: non glielo imporrò. Certo può essere pesante rileggere tua madre in quei momenti così difficili. Forse è un po' troppo personale».

Ultimo aggiornamento: 25 Aprile, 23:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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